martedì 23 novembre 2010

ti alzi la mattina, fai colazione, segui la rassegna stampa stentando a seguire, il cervello che ronza prima ancora di arrivare a metà caffè. ti lavi e ti vesti, magari ti dimentichi pure di pettinarti, e ripensandoci non sai se è una reale dimenticanza o non vuoi guardarti allo specchio. nessuno sguardo è crudele quanto il tuo.
vai in stazione, ti guardi intorno, speri che, come una boccata d'ossigeno, arrivi qualcuno con cui parlare. non importa se saranno sciocchezze o cose serie, elenchi tragicomici di fatterelli oppure lagnanze, dolenze, tue o altrui. perché non sarà vero che mal comune fa mezzo gaudio, ma avere qualcuno che ti ascolta, e che magari prova a capirti, a incazzarsi o intristirsi con te un minimo di bene lo fa. magari non arriva nessuno. e il libro in borsa allora speri che sia un salvagente.
arriva il treno e ci sali. dal freddo sereno della pianura al clima subequatoriale dello scompartimento. ma c'è qualcosa che ha senso, nel mondo? posto non ce n'è. chiedi scusa e permesso e ti infili nello spazio vuoto, libero che c'è prima del passaggio tra i due vagoni. aria fresca e un tetto sopra di te. se ti siedi per terra poi ti rialzi? ne hai la forza? allora non lo fai, mai giocare con l'azzardo.
arrivi in città, scendi in metropolitana, ogni giorno così, ancora il libro per salvagente, lo speri.
e poi attendi gli attimi che passano, nel terrore che vengano a chiederti di fare qualcosa, che hai una scadenza, che c'è un nuovo progetto, un altro e un altro ancora.
passa il giorno, chiudi la mail, fai i tuoi bagagli e te ne vai. metro e treno ancora, all'incontrario. e ti ritrovi a contare quanti giorni mancano alla prima pausa, perché di gennaio non hai ancora il calendario, ma solo visioni confuse di date e scadenze, e progetti e lavori e pressione su pressione che non smette, non smette.
torni a casa, ti cambi, mangi. scambi quattro parole per pretendere di essere normale, che tutto vada bene. provi a non pensare, sei stravolta e vai a dormire. continui a provare a non pensare finché eccolo, finalmente, che il sonno ti raggiunge.
speriamo solo che sia senza sogni

2 commenti:

eleo ha detto...

hai un'alternativa a questa serie di piatti che simone de beauvoir sistema tutti uguali uno dopo l'altro nello scolapiatti? te la puoi costruire? se smetti di studiare, come reagiresti? (sono domande reali, non retoriche (potrebbe sembrare dato che non c'è l'intonazione))

sasha ha detto...

grazie per la simone de b. come reagirei se smettessi di studiare? non lo so.
certo quel tipo di pressione svanirebbe, ma ne arriverebbe un altro tipo.
non avrei più neanche la pretesa di essere normale, uscire di casa, fare qualcosa. far vedere di fare qualcosa. un piccolo automa che esce ogni mattina perchè deve (dovere), e rientra ogni mattina perché deve (necessità).