giovedì 28 ottobre 2010

ho un bisogno assurdo di qualcosa, non so cosa.
che mi impedisca di scoppiare a piangere per nessun motivo, la sera in strada.
che non mi faccia camminare con le spalle sempre più curve, gli occhi bassi, le gambe così pesanti, così pesanti.
non avrei mai creduto che fare un passo costasse tanto fiato. che i capelli che mi ricadono sugli occhi possano essere un'effimera protezione. non guardatemi, non sfioratemi, non pensatemi. non chiedetemi come stai o come va.
potrei scoppiare a piangere, e non saprei neanche il perché. suoni e rumori mi rimbombano in testa, e a volte anche se smetto di pensare mi ritrovo così, come ora, come ieri sera, a dondolarmi ossessivamente su me stessa, sperando che il movimento mi culli via. sperando che il muro che fisso resti lì così, per sempre.
abbandono libri da leggere. mi costa troppa fatica finirli, gli occhi si chiudono e la stanchezza è allucinante. così come sono allucinanti i sogni, non li voglio, non li foglio fare: anche se al mattino sono una nebulosa indistinta so che hanno rubato spazio al mio frammentario riposo.
il limite delle mie forze, non solo fisiche.
avrei bisogno di sapere qualcosa, di fare qualcosa. progetti che non mi creino più ansia ma che allentino quella che già provo. qualche certezza, qualche sicurezza. è una cosa così strana?

giovedì 21 ottobre 2010

il lettore è un deficente

o meglio era questo quello che mi hanno detto al master esattamente una settimana fa:
non puoi usare questa parola, il lettore non la capisce.
non puoi dire conferenza stampa, il lettore non sa cos'è.
ecc ecc ecc.

ora, questo può andar bene, se tu pensi che il lettore sia del tutto scemo.
io non penso che il lettore sia scemo. io nn voglio rendere tutto a livello più che elementare, da scuola materna, solo perchè me lo dicono "loro".
io mi oppongo qa questa visione elitaria del giornalismo, secondo cui un aggettivo è una presunzione e un avverbio un abominio. soggetto verbo complemento oggetto. e guai a sgarrare. guai a scrivere una subordinata. guai a creare un nesso fra una frase prima e una dopo.
ecco.

salvo poi ritrattare parzialmente quando è un'altra persona a parlarti, quando è un'altra persona a correggerti il pezzo sul tenente colombo: in 60 righe da 60 battute devi dire tutto. impossibile.
poi ci sono gli altri che impiegano 2 ore e mezza a scrivere quello che tu, rispettando i tempi dati, hai scritto in 40 minuti.
ovvio che i loro pezzi sono migliori. se anch'io avessi potuto metterci mano 20 volte l'avrei sistemato.

o forse nn sono tagliata per fare la giornalista. non come dicono loro, non come vogliono loro.
nn mi interessa inseguire la cronaca nera, i morti ammazzati, i rimbombi giornalistici davanti a qualsiasi fatto di sangue. sono articoli che non leggo neanche quando il giornale ce l'ho davanti. non volgio fare la sanguisuga e andare dalla madre, dalla moglie, dai figli o dai fratelli pochi minuti dopo la notizia che il loro caro è morto, magari ammazzato. no.
no. non ci tengo. non ci sto.
se fare il giornalista è questo, e fare il giornalista è sempre meglio che andare a lavorare, condannatemi subito ai lavori forzati.

mercoledì 13 ottobre 2010

quando a fine giornata ti accorgi di non aver parlato quasi con nessuno, come reagisci?
le uniche conversazioni avute ieri sono state con M. e O., sul treno, anzi, alla fine siamo state separate e io e M. siamo rimaste da una parte.
il resto della giornata è passato tra i convenevoli di rito, i buongiorno e i ciao, i convenevoli di una classe di trenta persone. passati davanti al pc o ad ascoltare. parlavo molto di più negli ultimi anni di università, quando ormai il gruppo del triennio si era disgregato e io arrivavo e partivo sola dalle lezioni. ma prima o dopo la lezione quattro chiacchere col vicino le ho sempre fatte, anche se magari la persona l'avevo vista solo una volta o mai. scrivendo la tesi già le cose sono cambiate. si esce meno, praticamente solo per andare a cercare qualche libro che ti serve, o per le inevitabili attese dal Professore, in cui sì che parli. parli per evitare la noia dell'attesa, per sfogare dubbi e paure, parli per ridere, per consolare. parli perché voui parlare, anche se spesso alla fine dei discorsi hai più dubbi che altro, e non solo riguardo alla tua tesi.
dopo la tesi è arrivata la parentesi/ny. col senno di poi forse l'inizio della fase calante nella mia labilità psico-emotiva. troppe cose da fare e da vedere, troppe sere fuori o camminate nella sera newyorkese con un chai tea in mano a chiaccherare o anche solo a camminare, magari uscita da un teatro.
l'immobilità del mio guscio, così amato e che offre così tanta protezione. e che mi angoscia nella sua perdita.
e non conta che mia madremi dica: "perché hai queste paranoie? per ora ce la caviamo benissimo anche se tu non porti lo stipendio a casa, non ti devi preoccupare."
è possibile non preoccuparsi? l'eternità non mi appartiene né la vorrei, ma non appartiene neanche a chi mi è vicino. e se provo a guardare in là, verso il mio futuro, non vedo nulla che mi conforti. non ho la stabilità di un lavoro o di affetti. non ho come primo obiettivo costruirmi una famiglia, costruirmi intorno quella corazza di moglie/madre che molte ragazze ormai hanno come visione principale.
ragazze e anche donne che dicono: il mio sogno è quello di essere una donna sposata_non si sà di chi, spesso. troverò la mia realizzazione nella famiglia - e poi scopre che la vede come una pubblicità del mulino bianco. se trovo lavoro dopo la laurea bene, se no mi sposo - colpo apoplettico di tutto il parentado del futuribile sposo.

se alla fine della giornata ti accorgi di non aver parlato con nessuno, pur essendo sempre rimasta in mezzo alla gente, è un problema tuo o degli altri?
è un problema tuo se non sapresti neanche di cosa - non vuoi?, non puoi?, non fai lo sforzo o forse non ti sembra necessario? - poter parlare. non vuoi parlare.
e magari ripensi a tanti anni fa. quando aprlare era più facile e parlavi mattina e sera. parlavi con tutti. e magari ti ricordi di qualcuno con cui ti piaceva parlare, istintivamente.
e non sai se rimpiangi l'infatuazione passata o solo il fatto che una persona, una qualsiasi persona con cui parlare come parlavi all'epoca, di cose piccole, di cose stupide, di cose lievi e passeggere, non ci sia.

martedì 12 ottobre 2010

costituzione senza a

esercizietto di ieri al master: scrivetemi i primi tre articoli della costituzione italiana senza usare parole con la A. ammessi articoli e preposizioni, se indispensabili.

testo originale:http: //www.governo.it/governo/costituzione/principi.html

1

nelle regioni che compongono questo territorio, coi suoi limiti e confini che si estendono dai monti alle rive e alle isole, il potere è rimesso al popolo, istituito sulle professioni e sui mestieri del popolo stesso.
ogni membro del popolo di questo luogo possiede il diritto e il dovere di gestire lo stesso, nei limiti e nelle forme previsti nelle leggi del territorio.

2

Si riconosce che esistono diritti dell’uomo, come singolo e complesso di singoli, ovvero come popolo, che non possono essergli tolti, ed esistono doveri che egli deve compiere.

3

il singolo uomo è per legge unico e con gli stessi diritti e doveri di ogni singolo, non esistono né devono esistere differenze per sessi, etnie, religioni, opinioni politiche, condizioni nel pubblico o nell’intimo.

all’interno del territorio e per mezzo del governo dello stesso, deve essere rimosso ogni genere di impedimento che impedisce lo sviluppo dell’uomo e che limiti i suoi diritti e doveri come membro del popolo



non ho idea della correttezza delle boiate che ho scritto, so solo che degli altri che sono stati letti, molti mi sembravano buoni, qualcuno in legalese, altri hanno usato legalese o altri -ese a piacere.
il giochino può essere carino, ma lascia il tempo che trova in qunto, a mio parere, l'abilità è nel trovare il termine più corretto.


masterismi.
allegri cazzeggiamenti dopo gli sproloqui mattutini, gli esercizi di copia incolla e omogeneizza, nella speranza che ci dimentichiamo che anche usciti da questo posto non avremo un lavoro, nonostante quello che ti dicono loro.
masterismi
masterismi

lunedì 11 ottobre 2010

stanchezze del lunedì

in cui ovviamente scriverò poco o nulla, nella pausa brevissima fra la digestione del panino e la ripresa del corso, che oggi non finirà mai....

stanca morta, anche a causa della sveglia 8ogni giorno alle 6:15/6:30, compreso il we in cui, ahimé, mi sono automaticamente svegliata in orari incivili.
la certezza di non avere idea di dove sia finito il mio finesettimana, e la consapevolezza di una nuova settimana davanti a me, spero illuminata da qualche discussione interessante e dall'invio di curricola in cui spero, e prego, di avere qualche risposta. giusto per sapere che non mando invano.

come nel libro che sto leggendo adesso - il terzo libro che sto leggendo in contemporanea - in cui la quasi dodicenne protagonista chiede a Dio: ci sei? mi capita questo, puoi fare qualcosa? cosa ne pensi?
ed è bello scoprire che i dilemmi di una quasi dodicenne sono in realtà dilemmi comuni di tutti: se gli altri io li vedo così, come mi vedono loro? cosa sarò crescendo? se gli adulti che vedo sono così, è inevitabile che lo diventerò anch'io?
insomma, cercare di capire il proprio posto nel mondo
guardarsi intorno per vedere se c'è un posticino per noi, nel mondo.

martedì 5 ottobre 2010

"Atonement" o della pazienza del ragno

dopo il post depressivo di prima passiamo alle cose divertenti, ovvero:
il progettone delle 100Novels.
dato che sono pigra iniziamo con uno dei miei libri già letti Atonement (2002), by Ian McEwan
( il link è quello della scheda critica del TIMES).

la pazienza del ragno per un romanzo che ti deve far digerire la dilatatissima prima parte, stupenda, a dir la verità, ma, indubbiamente, in un libro in cui tutti sanno il "motore dell'azione" (stupro di una ragazzina, accusa infondata, ecc ecc) arrivare alle fatidiche pagine nella notturna campagna inglese è una esperienza estenuante, che ti fa sentire sulla pelle il caldo opprimente di quella giornata del 1935, un caldo che paralizza e rallenta azioni, giudizi e, forse, anche i pensieri.
un gruppo di famiglia con amici in una campagna inglese, una ragazzina fin troppo precoce che vuole essere una scrittrice, che crede nella forza creatrice della parola... sperimentando sulla sua pelle che ciò che crea una cosa ne distrugge un'altra.

un libro di salti temporali netti e freddi, un libro che, alla svolta finale, ti svela che la tua pazienza è frustrata perché altri, più abili tessitori di trame hanno giocato con te per tutto il tempo, ti hanno fatto credere nell'impossibile, o, forse, l'unica possibilità di espiazione possibile, per tutti noi, rientra solo e unicamente nella sfera dell'intelletto.
è un'espiazione a metà, un espiazione che non porta poi alla catarsi, un'espiazione che in realtà non espia di tutti i nostri peccati, ma è un modo per porre un po' di pace nelle anime morte, siano esse anime altrui o le parti di noi stessi che abbiamo perso per strada.

la pazienza del demiurgo narratore, la pazienza del ragno della parola, la pazienza evocativa di coloro che possono creare altri mondi, forse anche beffardi o crudeli, forse falsamente pacificatori, forse crudelmente felici.
dopo anni dalla lettura mi ricordo ancora le sensazioni "di pancia" che questo libro mi ha causato. questa è forse la critica più bella: il grande potere della narrazione (o "the art of fiction", splendido titolo della serie di interviste che, da decenni, la Paris Review fa con scrittori di tutto il mondo, recentemente usciti in una serie di volumi, in Italia editi in parte da Fandango. ma molte di esse sono reperibili in versione integrale sul sito della paris review) si manifesta in questo romanzo e, in più, è il vero fulcro del romanzo stesso.

la crudeltà della narrazione e la sua bellezza, come potrebbe essere bella la tela del ragno per gli insetti che vi sono intrappolati.

sarò pure ronzinante....

e di cose ne avrò viste tante,
ma ora son qui al bevitoio
a lanciar occhiate all'avvoltoio
che mi ronza sopra la testa:
di chi mai vorrà far festa?


forse non sono ferrata per questo mestiere. o forse non sono ferrata per questa scuola, o per altre scuole.
scuole che fanno cadere la loro dottrina come fosse vangelo, scuole che pretendono che si sappia tutto di tutto su tutto, scuole che vogliono trasformarti in un savant, forse senza rendersi conto che si tratta di una forma di autismo.
scuole che vogliono purosangue, duri e puri, che possano prima gareggiare alle corse delle bighe e poi passare la vita da stalloni, esaurendosi nel compito. sempre che, nel mezzo della carriera non ti accada qualcosa che ti azzoppi, e si sa qual è la fine dei cavalli azzoppati.

nella selezione ho la vaga idea che abbiano fatto una scelta sbagliata, la mia.
ovvero nel loro ricercare col lanternino hanno preso fischi per fiaschi, inserendo la mela bacata nel cesto.
bisogna vedere che tipo di muffa ne uscirà fuori.

ronzinante. cavallo o somaro, con la coda floscia e il pelo spento, per non parlare delle orecchie.
questa mattina ho spostato una cavalletta che era sullo zerbino di casa, mettendola nell'aiuola, sperando che i gatti non la scovino, l'altro giorno ho abbandonato al suo destino un piccione, o forse una tortora, il cui corpo già martoriato era un nugolo di mosche.
le sento ronzare, le mosche, e non capisco quanto queste siano formate da pensieri miei o da angoscie collettive: lavoro, sicurezza, futuro...

ieri un "ragazzo" di 38 anni si è suicidato buttandosi dal treno: laureato in economia alla cattolica, dopo un call-center erano mesi che non aveva lavoro.

forse è solo brain-storming, o forse è solo insicurezza, o la pioggia e la mancata sicurezza una volta abbandonato il piumone.

il mio nome è ronzinante, aspetto ancora che se ne accorgano gli avvoltoi. o forse sono io che non ho ancora capito quanto siano famelici.